Tutti abbiamo visto il Made in China apparire praticamente ovunque, e date le leggi internazionali a protezione del consumatore, sempre più marchi occidentali di prestigio hanno dovuto applicarlo sui propri prodotti. Ma perché Made in China e non, per esempio, Made in India? Perché proprio la Cina?
Ci sono tre ragioni chiave:
1. Visione di lungo termine: infrastrutture e apparecchi di produzione siano sempre aggiornati. Il governo cinese investe tantissimo sulla mobilità interna e questo permette di produrre un po’ ovunque (specialmente lì dove la manodopera e gli spazi costano meno) per poi spedire all’estero tramite i porti franchi nell’est o tramite hub aerei come Wuhan. Le aziende cinesi sono spinte ad aggiornare i propri macchinari per poter rimanere al passo con la competizione locale e con l’aumento consistente della paga per i propri operai. Non potendo ridurre lo stipendio ai propri operai sono costretti a risparmiare altrove, e quindi puntano a investire per produrre a costi ridotti o prodotti qualitativamente superiori, magari specializzandosi in una nicchia.
2. Manodopera: quella di basso livello è a costo ridotto ed in grande quantità, e anche gli specialisti sono tantissimi. I cinesi sono quasi un miliardo e mezzo e sono in costante competizione l’uno con l’altro fin da piccoli. I costi della vita sono generalmente inferiori e di conseguenza, nelle professioni manifatturiere, è dura trovare un operaio pagato tanto quanto nei paesi sviluppati. Tuttavia, questo non implica che le condizioni di vita siano orrende, dato che i costi della vita sono estremamente diversi. Inoltre, il datore di lavoro è spesso tenuto a dare vitto e alloggio per i lavoratori migranti. Le fabbriche di PCB nella campagna di Shenzhen sono piene di piccoli alloggi per i lavoratori (spesso provenienti dalle regioni più povere della Cina) che possono così guadagnare senza avere alcuna spesa per mettere da parte soldi utili a prendersi cura della famiglia o della casa – magari a distanza di migliaia di km. Vale per qualunque altra impresa, privata o statale. Questo permette al datore di lavoro di dare meno ai propri dipendenti (essendo vitto e alloggio un costo minore se gestito in massa) per poter vendere a prezzo minore ai propri clienti, senza fare alcun tipo di sfruttamento. I dipendenti, d’altro canto, possono sfruttare la chance per mettere da parte quasi l’intero stipendio, dato che le loro spese basilari sono a carico dell’azienda.
3. Pianificazione statale: l’uso di accordi internazionali e legislazione pianificata appositamente per creare un’economia forte e diventare un paese sviluppato è il terzo fattore chiave.
Seppur in molti sappiano che in Cina si possa produrre in maniera diversa dall’Europa, parecchie persone credono che sia per via di qualche complotto internazionale che permette ai cinesi di “aggirare” le leggi. Non è esatto. In Cina le leggi sull’ecologia sono presenti, e alcune di esse sono meno restrittive che in Europa, in quanto lo stato di “paese in via di sviluppo” non è ancora stato revocato, e quindi le restrizioni poste dagli accordi internazionali sono inferiori per paesi come Cina e India. Questo ha permesso un’industrializzazione rapida che sta cedendo il passo alla stabilizzazione, in quanto la Cina si sta preparando a diventare un paese sviluppato ed accettarne le conseguenze. La pianificazione statale aiuta nei grandi progetti, offrendo enormi finanziamenti e sussidi alle aziende in grado di portare la Cina avanti tecnologicamente ed economicamente.
Presto vedremo che il “Made in China” non sarà più marchio di bassa qualità e di prodotti di ogni tipo, ma diventerà segno di qualità per determinate categorie di prodotti (ad esempio l’elettronica di alto livello è una delle categorie interessate). Magari “Made in Vietnam” e “Made in Thailand” saranno alcuni dei nuovi “Made in China”, anche se ci vorrà del tempo per questa transizione. Non troppo tempo fa “Made in Japan” aveva un valore completamente diverso da quello attuale, infatti Sony fu una delle aziende che si promise di liberare il Giappone e i prodotti giapponesi dallo stigma di bassa qualità imputato dagli stranieri. Ci riuscirono. Poi è stato il turno del “Made in Hong Kong”.
Non sembra insensato, alla luce di tutto ciò, dire che è giunto il momento della Cina e del Proudly Made in China.